Minacce, guerre e capricci



Futbolandia, 30 marzo 2015

Domani sera, a Torino, ci sarà Italia-Inghilterra. Sino a qualche anno fa, si sarebbe parlato solo della partita, delle sue premesse e delle sue promesse: il confronto tra scuole, la sfida ai 'maestri', il prestigio. D'accordo, il mondo è cambiato. Sappiamo tutto degli inglesi, e il fascino della 'classica' è molto scemato. Sinora, tuttavia, della partita si è parlato poco, pochissimo. Anzi, non se ne è parlato per nulla. L'unica cosa che tutti aspettano di misurare è il volume dei fischi con cui lo Juventus Stadium eventualmente saluterà il ritorno di Antonio Conte.

Sembrava impossibile solo pensarlo. Ma l'isteria che connota il terreno di coltura del nostro calcio (dai media agli ultras, passando per certe dirigenze di club) ci ha portati fin qui; e non ci sono elementi che lascino immaginare un miglioramento del clima. Del resto, come si suol dire, siamo davvero andati in cerca di guai. Eleggendo un presidente federale inviso alla dirigenza del club italiano più importante (e non solo). Nominando, alla guida della nazionale, il tecnico che, fino a poche settimane prima della nomina, era l'allenatore proprio di quella squadra, reso disponibile da un divorzio sul quale si è detto tutto e di tutto. Un divorzio vissuto malamente da entrambe le parti coinvolte, e che ha reciso anche il legame sentimentale tra Conte e (si direbbe) la propria lunga storia alla Juventus.

In questi giorni, colui che aveva "ricostruito l'orgoglio juventino" pare sia stato minacciato di morte sui social da qualche 'esuberante' fan di Nostra Signora. Tant'è vero che è stata allertata la Digos.

Perché tutto questo? Per la surreale vicenda Marchisio. Rottura dei legamenti? Macché, potrebbe giocare già domenica con l'Empoli - ma il furbissimo Allegri eviterà di schierarlo. Naturalmente, non c'è chi non veda come non si possa continuare così, cioè con un club che, a ogni convocazione, trova il pretesto per iniziare (o continuare) la sua guerra al commissario tecnico e alla federazione. Quella contro la Bulgaria era una partita importante, quella di domani sera per fortuna no. E infatti non interessa a nessuno, se non a quelli che devono decidere se fischiare o no, esibire o no i trentadue scudetti e così via: con un approccio 'mentale' che si può definire, a voler essere indulgenti, infantile.

Per il bene della nazionale (e del calcio italiano, già pieno di guai), se questo clima non dovesse rasserenarsi, sarebbe meglio che Conte facesse le valigie e alla svelta. Sarebbe criticato - ma ormai lo è per qualsiasi cosa faccia o non faccia, dica o non dica. E le ombre sul suo passato recente e immediatamente pre-bianconero non si sono mai dissolte. Torni a fare il suo mestiere quotidiano, in qualche squadra di club; evitando così - a coloro che non sono rabbiosamente juventini - la tristezza di dovere, cinque o sei volte l'anno, sopportare i loro fastidiosi capricci.

Quale memoria per Calciopoli?


23 marzo 2015, Corte di Cassazione, Roma

In un libro importante per la storia italiana del Novecento (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza: vedi), l'autore, Claudio Pavone, sottolinea come la nozione di "memoria comune" sia un concetto privo di senso: non c’è niente di più soggettivo della memoria: un ex partigiano e un reduce della Repubblica sociale italiana non potranno mai avere la stessa visione del passato. E' una constatazione solo all'apparenza ovvia, ma assai importante, soprattutto perché proveniente da un ex partigiano: è un'apertura alle ragioni degli altri.

Gli storici possono invece ricostruire una "memoria collettiva", che rimanda a un passato cui nessuno può sottrarsi e che coincide con la storia. Una memoria - attenzione - che rimane "plurale". E che non solo non può farsi memoria "comune" ma nemmeno "condivisa", per il semplice motivo che la memoria è "soggettiva" e pertanto non può essere condivisa. Al più può essere confrontata, ma non condivisa. Ciò che si può cercare di condividere, dunque, non è una memoria, ma una storia.

Il preambolo è necessariamente pedante, e chiediamo venia. Ma ci sembra che nei commenti diffusi - dai bar ai social network, al giornalismo militante - che sono inevitabilmente eruttati dopo la sentenza emessa nella notte tra il 23 e il 24 marzo 2015 della Corte di cassazione sulla lunga vicenda inquirente e processuale di Calciopoli, si mescolino dei piani che restano inesorabilmente distinti. I due schieramenti in conflitto non potranno mai condividere una memoria comune, perché hanno vissuto le vicende collegate a "calciopoli" nell'unico modo a loro possibile: quello soggettivo.

Là dove la dialettica si esprime civilmente - e rari sono i casi - sarà possibile solo e sempre un confronto, ma non una condivisione. E' uno stato delle cose che i molti non schierati non riescono a comprendere fino in fondo, attoniti come spesso appaiono di fronte all'eternità, e al carattere estenuato, del conflitto in atto tra le parti da anni.

Spesso sfugge anche un altro punto. La "memoria collettiva" non può essere ricostruita da chi esprime la propria "soggettività". La ricostruzione della storia, cioè del passato cui nessuno può sottrarsi, spetta a terzi, non necessariamente a storici di professione. Basta infatti rifarsi alle pagine dell'enciclopedia amatoriale Wikipedia per attingere a una ricostruzione storicamente fondata di Calciopoli: gli estensori della pagina in lingua italiana hanno compiuto uno sforzo egregio, ma sono soprattutto quelle in altre lingue che "dimensionano" la vicenda secondo un punto di vista che non solo non è di parte, ma nemmeno immediatamente influenzato dalla vicende nazionali [vedi].

La memoria "collettiva" è lineare: i principali processi penali di "Calciopoli" si sono conclusi in Corte di cassazione certificando il reato di "associazione per delinquere" e "frode sportiva" di Luciano Moggi e di altri personaggi. In ogni grado di giudizio, non solo penale, ma anche sportivo, questa "associazione" è stata riconosciuta colpevole. Nelle affrettate (per necessità) sentenze della giustizia sportiva dell'estate 2006 e nei sette anni del procedimento della giustizia ordinaria si sono via via alleggerite le posizioni dei principali indagati e di molti altri personaggi minori, come avviene in tutte le procedure processuali. Non fosse così, il ruolo degli avvocati sarebbe svuotato di senso: a una richiesta inizialmente esorbitante segue sempre un progressivo alleggerimento delle pene. Gli storici della giustizia indicano questa pratica (politica) col termine "negoziazione della pena".

Anche l'istituto della prescrizione va inquadrato in questo contesto: non equivale a una assoluzione ma all'estinzione del reato in seguito al trascorrere di un determinato periodo di tempo. La ratio della norma è che, a distanza di tempo dal fatto, viene meno sia l'interesse dello Stato a punirne la condotta sia la necessità di un processo di reinserimento sociale del reo. Non significa che il fatto non abbia costituito un reato. Nello specifico di Calciopoli oltre alla prescrizione sancita dalla Corte di cassazione va storicamente ricordata quella disposta dal procuratore della FIGC nell'estate 2011 in relazione alla violazione delle norme di lealtà e di correttezza sportiva da parte di società e tesserati che non erano stati coinvolti nei processi sportivi del 2006.

Questa è la ricostruzione storica. Necessariamente diversa dalla "memoria soggettiva" dei protagonisti e dei rispettivi schieramenti, della quale Eupallog riconosce le ragioni. Senza poterle -necessariamente - "condividere".

Rituali medievali o mafiosi?


Stadio Olimpico di Roma, 19 marzo 2015

Gli studiosi di storia medievale convivono da sempre con il forte pregiudizio negativo che riguarda il lungo periodo di tempo oggetto delle loro indagini. A connotarlo come negativo furono per primi degli intellettuali italiani che tra XV e XVI appiopparono a quella lunga età di mezzo tra la civiltà antica e quella moderna un'immagine negativa di decadenza e di superstizione. Da allora solo in alcuni momenti il medioevo ha coinvolto la passione dei contemporanei: i romantici, con i loro racconti storici ambientati tra i cavalieri; gli artisti e gli architetti neomedievalisti che hanno rinnovato il gusto estetico delle città europee tra Otto e Novecento; per arrivare a Walt Disney e all'attuale passione diffusa per il fantasy.

Nel senso comune rimane invece ben radicata l'immagine negativa del medioevo, che si declina in aggettivazioni deprecative: vandalico, barbarico, baronale, feudale, etc. Non si è sottratto, sulla "Gazzetta dello sport" di ieri [vedi], nemmeno il pur colto Franco Arturi, per bollare come roba da "Medioevo" la gogna cui gli ultrà romanisti hanno costretto i loro, consenzienti, beniamini dopo la figuraccia di coppa contro la Fiorentina, ennesimo anello di una catena sempre più ricca di "ordalie della vergogna". Ora, un purista potrebbe obiettare che l'ordalia tutto era tranne che una "liturgia tribale", e che l'uso della gogna risale, in realtà, all'età romana ed era molto diffuso anche nell'età moderna e nei secoli a noi più recenti. Ma non è questo il punto.

Arturi ha ragione nella sostanza: la sottomissione, per usare un termine in voga in questi giorni, dei giocatori agli ultrà delle curve, è semplicemente "un rituale mafioso", per usare le sue parole. Appropriate. Si tratta di delinquenza e di delinquenti ben noti alle forze dell'ordine e ai magistrati inquirenti. Ma come chiosa l'autorevole opinionista della "Gazza", il coraggio - da parte dei dirigenti, giocatori e ambiente tutto - di tagliare i mille legami mafiosi con le loro curve "è per ora come quello di don Abbondio: invisibile". Si preferisce continuare a baciare le mani.

L'inaccettabile diktat di Sky



Futbolandia, 6 marzo 2015

Sicché oggi, nella riunione di Lega, i dirigenti dei club della Serie A hanno accettato di auto-tassarsi per consentire al Parma Football Club di giocare le prossime partite di campionato. Difficile dire quante, e in ogni caso i quattrini saranno sganciati solo dopo che il curatore fallimentare avrà fatto qualche conto.

Sono gli ultimi fuochi di una vicenda - da qualunque parte la si guardi - scandalosa. Difatti e naturalmente, non è che i Galliani e gli Agnelli siano mossi da spirito samaritano o solidaristico. Si muovono perché ricattati da Sky. E' il colosso televisivo a volere il Parma in campo: come da contratto, le partite devono essere dieci per turno, non nove.

"Egregi signori, come avete visto abbiamo proceduto al pagamento, A voi e a tutti i club Vostri associati, anche della quinta rata del corrispettivo previsto per la stagione in corso". Così inizia la missiva indirizzata da Raynaud, "Executive Vice President Sport Channels & Sales Advertising" di Sky, alla "Lega Nazionale Professionisti Serie A" [vedi]. Viene poi espresso lo stupore per la mancanza di interventi da parte della medesima Lega, finalizzati a prevenire il precipitare della situazione. Ma soffermiamoci sulla parte centrale, perché qui sta il bello: "Vi chiediamo quindi, nella nostra qualità di principale partner del sistema calcio, di volerci quantomeno spiegare cosa intendete adesso fare per fronteggiare con efficacia la situazione e per garantire che il campionato veda almeno lo svolgersi di tutte le partite previste dal calendario. Confidiamo pertanto che l’ulteriore supporto economico da noi appena versato venga da Voi utilizzato a tal fine. E che, anche con l'apporto di Governo e istituzioni, si stabiliscano regole che diano maggiori garanzie per il futuro".

Dunque, Sky vorrebbe che i club usino i 'suoi' quattrini  per foraggiare il Parma sino a fine stagione e salvaguardare il prodotto - e il contratto. Grottesco.

Naturalmente, l'esito logico della vicenda è uno e uno solo. Al Parma dovrebbe toccare (purtroppo) la sorte già occorsa in passato ad altri club altrettanto blasonati e con ancor maggiore seguito di pubblico.

Ma riteniamo intollerabile, anche per un calcio alla canna del gas come il nostro, sottostare a un diktat di questo genere. Significa implicitamente accettare la logica di Lotito (per carità: il Carpi in serie A?); e a quel punto anche gli esiti agonistici potranno tranquillamente dipendere dalle esigenze dello show televisivo (reale padrone, più che "principale partner del sistema calcio"), che pretende spettacolo ma evidentemente è allergico alle regole e al rischio d'impresa.