La cittadinanza attiva di Felipao


Bestiario mondiale
26 maggio 2014

Il mondo interconnesso dei social network offre ormai ai protagonisti planetari della pedata l’occasione per esternare in istantanea parole e stati d’animo, spesso in uno sciocchezzaio dilagante. La fase finale dei campionati mondiali offre però una risonanza senza pari, perché l’attenzione è concentrata sull’evento. Giorno per giorno infileremo le “perle” del bestiario, perché ne resti (caduca) memoria: soprattutto, per rifletterci sopra o per seppellirle con una risata.

Il via non poteva non essere dato dai padroni di casa. Il CT della Seleçao, Luiz Felipe Scolari, ha rilasciato ieri, nel primo giorno di raduno alla Granja Comary di Teresopolis, una infelice dichiarazione (di guerra?), di fronte alla contestazione di un gruppo di professori delle scuole pubbliche, che hanno fischiato all’indirizzo del pullman della nazionale: “Le proteste? Non sono un problema nostro. E i miei giocatori se ne infischiano delle manifestazioni: sono qui per giocare a calcio. La coppa fuori dal terreno di gioco non è un problema della Selecao. Sono la polizia e il governo che devono occuparsene. Chi ha l’obbligo di portarci in sicurezza fino al campo è la polizia. Noi dobbiamo solo giocare. Chi deve stare attento alle manifestazioni sono la polizia e il governo. Chi deve costruire strade non è il singolo calciatore né la Federcalcio, è il governo. L’unica spiegazione che dobbiamo dare alla gente è che la nostra funzione è di giocare a calcio. Qualcuno dirà che non dimostro uno spirito di cittadinanza attiva. Ma questo non è vero: il fatto è che non posso pensare ai problemi del mio Paese adesso, lo farò al termine dei Mondiali. Quello che accade per strada non raggiunge gli spogliatoi. I giocatori commentano e hanno libertà di farlo. Ma si tratta di opinioni personali, non possono parlare in nome dell’intera squadra. La Federcalcio lo ha ben spiegato sin dalla Confederations Cup: chi si esprime in un modo o nell’altro deve assumersi la responsabilità di ciò che dice”.

E’ evidente che Felipão non ha letto Football against the enemy di Simon Kuper, e non possiamo fargliene certo una colpa. Il fatto è però che l’assegnazione dei Mondiali 2014 al Brasile da parte della FIFA è stato un atto politico. Del quale le autorità brasiliane si devono assumere le responsabilità non solo quanto all’efficienza organizzativa, ma anche alla libera dimostrazione di dissenso da parte dei cittadini brasiliani che protestano, e non a torto, per le spese pubbliche fuori controllo e per la corruzione e il malaffare a esse legati. Per fortuna il Brasile non vive il regime dell’Argentina 1978. Ma “infischiarsene” delle proteste dei cittadini, significa semplicemente non essere dei buoni cittadini: attivi o meno.

Testimonial


Del calcio italiano (e magari anche della sua Repubblica)
11 maggio 2014

In Spagna il lanciatore della banana mangiata qualche settimana fa da Dani Alves, il 26enne David Campayo, è stato subito individuato e bandito a vita dallo stadio del Villarreal. Il club spagnolo ha troncato immediatamente la collaborazione esistente col ragazzo, e la giustizia sportiva lo ha punito con un “daspo” di due anni. Soprattutto, Campayo ha perso il posto di lavoro (era allenatore di una squadra di serie inferiore) e rischia tre anni di carcere per il reato di discriminazione, odio o violenza per motivi razzisti.

Le autorità politiche, giudiziarie e sportive della nostra Repubblica cosa faranno nei confronti dei responsabili dei lanci di banane - e coltelli - contro i giocatori Constant e De Jong dagli spalti dell’Atleti Azzurri d’Italia durante il malinconico Atalanta-Milan di ieri pomeriggio?

Rassegna per lor signori


4 maggio 2014 - Anniversario della tragedia di Superga (1949)

Decenza vorrebbe che i vertici istituzionali del calcio e dello sport italiano e quelli delle cosiddette “autorità competenti” alla gestione della partita di finale della Coppa Italia 2014, in un sussulto di buon senso, dessero le dimissioni.

Ma come usava ricordare (più di mezzo secolo fa …) un grande Italiano, l’abruzzese Ennio Flaiano, “non bisogna mai minacciare le dimissioni in Italia, perchè qualcuno potrebbe accettarle”. E aggiungiamo, sempre con lui: “La situazione politica in Italia [continua a essere] grave ma non è seria”.

Abbiamo qui raccolto una piccola rassegna stampa internazionale per i signori Giovanni Malagò [vedi quel che ne pensava Eupallog il giorno della sua nomina], Giancarlo Abete [idem] e Maurizio Beretta [idem] e, con loro, Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma [sul quale vedi anche], e Massimo Mazza, questore di Roma [qui in versione Pinocchio], nella certezza che non avranno il tempo in queste ore, “convulse”, per rendersi conto dell’ennesimo indegno spettacolo che hanno apparecchiato per la stampa estera.

El Pais

Mundo Deportivo

Frankfurter Allgemeine Zeitung

Daily Mail

Marca

The Guardian

Sports Illustrated

L’Equipe

Ma le frasi più tristi le ha dette il massimo rappresentante della Repubblica Italiana presente ieri allo Stadio Olimpico di Roma, il Presidente del Senato Pietro Grasso:
- “Sono stato più volte in procinto di abbandonare il campo perché ritenevo che queste occasioni di sport non potevano trascinare in una violenza di alcun senso”. Domanda: e perché non se ne è andato davvero? “Per senso del dovere” o per senso del ridicolo?
- Sui tifosi che hanno fischiato l’inno di Mameli: “Non è stato un esempio di civiltà istituzionale perché l’inno nazionale non c’entra nulla con tutto questo”. Forse l’ex Capo della Direzione Antimafia non si è reso conto che ieri sera Genny a’ Carogna ha sfidato lo Stato, la Repubblica e le Istituzioni. Ed ha alzato la Coppa (in Mondovisione).

Le teste pensanti



4 maggio 2014

Non ci aveva creduto nessuno ieri sera, né a caldo né a freddo. Pinocchio ha confessato: “Il nostro comunicato iniziale su cause occasionali? Da una parte è stata una strategia vincente, dall’altra realmente non avevamo ancora stabilito del tutto le cause” ha dichiarato il questore di Roma, Massimo Maria Mazza, in una conferenza stampa dai toni concitati - che la dice lunga sul clima in cui si è ormai ridotta l’autorità di polizia. Poi la frase più sconcertante: “Si è trattato di un fatto senza precedenti, non solo a Roma, ma in tutta Italia”.

Un fatto senza precedenti? I delinquenti che si sono affrontati e feriti fuori dallo stadio sono tutti pregiudicati ben noti alle forze dell’ordine. L’ultra romanista che ha sparato a quelli napoletani è un altro eroe del Colosseo, come il suo collega Carogna: al secolo Daniele De Santis, soprannominato Gastone, tra le sue gesta eponime è anche l’aver interrotto e impedito di giocare il derby romano del 21 marzo 2004 (nella foto è quello che ordina) [qui un amarcord].

Sono i soliti noti. A tutti tranne a chi sarebbe deputato a fermarli e a punirli.

Nel frattempo il Ministro degli Interni, Angelino Alfano, ha dichiarato: “Sto pensando a un giro di vite fortissimo, il Daspo a vita”. Anche il Presidente del Senato ieri “pensava” di lasciare lo Stadio. La nostra Repubblica è davvero fortunata: ha autorità che “pensano” molto.

La Carogna che ha alzato la Coppa in Mondovisione



3 maggio 2014, Stadio Olimpico, Roma

Si chiama Gennaro De Tommaso, capo dei Mastiffs, uno dei più noti gruppi ultrà del Napoli, è figlio di un camorrista affiliato al clan Misso, ed è soprannominato Genny ‘a Carogna. Fedina penale lunga un chilometro. Ieri sera ha tenuto in scacco il calcio italiano, stanotte dormirà tranquillo nel suo letto e domani leggerà la rassegna stampa che ne narra il trionfo.

E’ lui il vero vincitore della Coppa italia (con la minuscola: quella che fischia l’inno nazionale e che segue pecorona il capopopolo).

Se la “Gazzetta” ne possiede la scheda [leggi], è difficile credere che la polizia non lo conosca. E allora non possiamo non farci una semplice domanda: come mai le “autorità istituzionali” lo hanno assunto a interlocutore in Mondovisione?

Con qualche tentativo di risposta: o sono incapaci (cioè non sanno con chi hanno a che fare) o sono inefficienti (cioè non sanno fare il loro mestiere) o sono impotenti (cioè non sono più in grado di assicurare la funzione).

Le “autorità” si sono inventate la “versione ufficiale” (sparatoria estranea al mondo del calcio) per fare giocare la partita “per motivi di ordine pubblico”. Dovrebbero semmai domandarsi come mai sono state incapaci di evitare che Genny entrasse allo stadio con il suo kommando e facesse quel che ha voluto. Domanda retorica, invero. Le responsabilità? Di nessuno, come sempre quando ci sono di mezzo i grand commis dello stato (con la esse minuscola).

Ieri sera chi ama il calcio italiano ne è stato espropriato da un’alleanza indecente e potentissima tra criminalità organizzata e autorità conniventi.