Poveri ma (non più) belli


Stadio Olimpico, Roma, 30 agosto 2014

Veder giocare la Roma, alla prima di campionato, con la sua bella maglia rosso porpora senza il marchio dello sponsor sul petto (a parte quello “tecnico”) suscita umori contrastanti.

Da un lato si tratta certo di un emozionante richiamo della memoria dei tempi passati, pre pay-per-view, quando il calcio era sì professionistico ma non ancora commercializzato. Una maglia “pulita” è certo esteticamente più bella di quella con un logo pubblicitario.

Dall’altro si tratta dell’ennesimo segnale negativo del declino strutturale del movimento calcistico italiano. Non è solo la Roma a non avere ancora trovato uno sponsor, infatti, ma sono complessivamente ben sette (su 20) i club (ancora?) senza sponsorizzazione: Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo e Sampdoria, oltre alla Lupa [vedi].

A fare da battistrada è stata la Lazio, che è da otto anni senza uno sponsor, perché Claudius Lotitus vive al di fuori della realtà al motto “Non sminuisco il valore del nostro marchio solo per metterci uno sponsor”. Lotitus si è arricchito con gli appalti pubblici: detiene ormai il monopolio delle pulizie del Palazzo romano. Vive di rendita sulla spesa pubblica, cioè, e pertanto non conosce una delle regole di base del mercato libero: “costi quello che vali”.

Ci sono società che si accontentano di sponsorizzazioni dell’ordine di 1 o 2 milioni di euro annui (Udinese, Empoli, Verona, Cagliari, Chievo, Atalanta, ma anche il Torino di Cairo, che è uno dei pochi imprenditori italiani che non vive di sola spesa pubblica, che si accontenta di incassare 2,5 milioni), e altre che sopravvalutano il valore del proprio “marchio”, e che si comportano come quei moltissimi proprietari italiani di appartamenti che chiedono cifre di vendita lunari rispetto a quelle che offre un mercato ormai comatoso.

I 13 club di Serie A con sponsor raggiungono tutti insieme una cifra (76 milioni) che è inferiore a quella della sola sponsorizzazione del Manchester United (79 milioni annui fino al 2021). D’altra parte la Tim sponsorizza con 15 milioni l’intero campionato quando la Barclays ne investe 50 sulla Premier che, come dicono gli azzimatimonager della nostra pedata, costituisce il “benchmark”.

D’altra parte, la Premier vende all’estero i diritti televisivi per 900 milioni annui, mentre la Serie A non va oltre i 120. In Asia Roma-Fiorentina non la vedono più di 400.000 telespettatori, mentre Everton-Chelsea ne raccoglie più di 3 milioni. Confronto impietoso, le cui motivazioni sono intuitive …

Stile casual: “Liverpool is a great team with young players, and that’s why I came here”


Anfield, 25 agosto 2014

La presentazione mediatica di Mario Balotelli, neo acquisto del Liverpool. Questa volta non lo affianca nessuno.

Leggi la cronaca inglese: 01-02 | Vedi i look del 2010 e del 2013

Bombe sulla Champions


Donetsk, 24 agosto 2014

Siamo talmente assuefatti alla terza guerra mondiale - come l’ha chiamata senza giri di parole papa Francesco [vedi] - che non riusciamo più a vedere ciò che sta accadendo nel prato del vicino, distratti come siamo invece dall’Ice Bucket Challenge, una delle più pelose campagne sociali che si siano mai viste sui media (e anche in questo caso il “plurinominato” papa Francesco ha ricordato con buon senso che “la vita di un cristiano è piena di atti generosi – ma nascosti – verso il prossimo”).

Domenica mattina, 24 agosto 2014, a Donetsk, un paio di esplosioni hanno sfregiato la Donbass Arena [vedi], uno dei moderni santuari del calcio del terzo millennio, quello sintetico della musichetta della Champions e della virtualità da play-station.

Si dà il caso, però, che si tratti questa volta di bombe vere, di guerra vera, non virtuale, con morti, feriti e sfollati. Lo Shakhtar si è dovuto “ritirare” all’Arena Lviv da settimane per continuare a giocare. Ma non è detto che basti. Attenzione, però: le retrovie sono adesso il Westfalenstadion e San Siro …

Codice etico


Roma, 19 agosto 2014

E’ noto come il nostro paese coltivi un rapporto complesso tra etica e politica, per il peso storico della tradizione cattolica nei costumi e nei caratteri nazionali. Il primo grande pensatore che ce ne ha reso edotti è stato, come sappiamo, Niccolò Machiavelli qualche secolo fa, a costo di essere tacciato lui stesso di immoralità (per prima proprio dalla Chiesa).

L’elezione a Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio di un personaggio che ha usato un’infelice espressione razzista è stata considerata, come è noto, riprovevole e scandalosa soprattutto nei paesi, di tradizione riformata, che hanno sviluppato la grande narrazione del “politicamente corretto” (di cui proprio un intellettuale anglosassone come Robert Hughes ha svelato la natura pericolosamente dogmatica fondata “sul cadavere del liberalismo” [vedi]), e nei grandi organi di stampa internazionali che usano amplificare “la cultura del piagnisteo” fino a ridurla a una caricatura di pensiero e di costume.

Anche in risposta a queste sollecitazioni, qualche giorno fa il presidente dell’Associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi, ha chiesto che il neo Presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, sia sottoposto a giudizio dagli organi sportivi preposti per la frase a contenuto razzista su Optì Pobà, per un’esigenza di “credibilità” del sistema: “non bastano le scuse o le rettifiche. Ritengo sia giusto esaminare il caso serenamente dal punto di vista della portata discriminatoria, come si fa per un calciatore che offende un altro calciatore in campo o per i tifosi che intonano certi cori”.

Molto probabilmente la richiesta cadrà nel vuoto, a meno che il braditipico Procuratore generale della FIGC, Stefano Palazzi, non si attivi entro un paio di secoli per esaminare la denuncia in merito che gli è stata sottoposta da un tesserato della Federazione [vedi]. Se poi alla fine del percorso si arrivasse a una sanzione per il Presidente della FIGC, il risultato sarebbe solo una questione etica, valutabile, appunto sul piano del “politicamente corretto”. Una volta scontata, la sanzione non preclude infatti, in punta di diritto, l’esercizio delle cariche istituzionali. Tavecchio continuerebbe comunque a svolgere il proprio ruolo politico in modo legittimo. Se lui e i suoi sostenitori non hanno ritenuto di dover ritirare la candidatura alla Presidenza per inseguire un’investitura “democratica” (vulgariter: frutto delle promesse e delle negoziazioni tipiche di ogni elezione politica), tantomeno è inimmaginabile che accolgano le richieste di dimissioni che pioveranno molto probabilmente dal fronte degli indignati.

E’ in questo contesto che va collocata anche la nomina, da parte di Tavecchio, a Commissario Tecnico della Nazionale di Antonio Conte, condannato nel 2012 dagli organi della giustizia sportiva a 10 mesi (poi ridotti a 4 in sede di arbitrato) per omessa denuncia di frode sportiva. Conte ha scontato la sanzione e dunque non gli è precluso, in base alla normativa vigente, il pieno esercizio di un’attività istituzionale pubblica come quella di allenatore degli Azzurri, il cui stipendio (per la parte spettante alla FIGC) è pagato dal contribuente. L’espiazione della pena, però, non estingue il reato. Tecnicamente, cioè, Antonio Conte è un “condannato” dalla giustizia sportiva (come, per quella penale, è in attesa di giudizio, essendo tuttora indagato dalla Procura della Repubblica di Cremona [vedi]). Se non meraviglia che nel CV di Conte pubblicato sul sito dela FIGC non si faccia menzione delle condanne che la medesima Federazione gli ha comminato nel 2012, è invece curioso come il fronte del “politicamente corretto” non abbia levato voce alcuna sull’opportunità “etica” della sua nomina, in questi giorni di plebiscito nazional popolare sul suo insediamento (un cenno lo ha fatto il Beck, un articolo lo ha dedicato il solito "Fatto": per il resto silenzio tombale). L’arma di distrazione di massa - il Grande Timoniere avrebbe detto “il dito e non la luna” - è infatti il contratto pagato dallo sponsor, con grandi indignazioni di facciata, prêt-à-porter.

Al contrario nessuno rileva che ci troviamo di fronte a un Presidente della FIGC pluricondannato dalla giustizia per una serie di reati (falso, evasione fiscale, abuso d’ufficio, etc.: riabilitati, ai sensi dell’art. 178 del codice penale, e pertanto con fedina penale immacolata) che non gli hanno impedito (anzi …) di intraprendere una carriera politica che lo ha portato alla veneranda età di 71 anni a salire sulla poltrona più alta del calcio italiano (nonostante un’interrogazione parlamentare presentata nel 2010 non abbia ancora ricevuto risposta sulla liceità dell’elezione a Presidente della Lega Nazionale Dilettanti [vedi]). Il medesimo ha designato CT della Nazionale un condannato dalla medesima FIGC, in attesa di giudizio da parte della giustizia penale.

Tutto culturalmente coerente e, soprattutto, tutto perfettamente legittimo sul piano giuridico. Nulla di “agghiacciante”, per carità: siamo discendenti di Machiavelli e nulla ci sorpende più, non solo nel nostro amato paese. L’unica speranza è che questa volta abbiano almeno la compiacenza di risparmiarci un “codice etico”.

Senza futuro


Fiumicino, 11 agosto 2014

Molti opinionisti hanno voluto vedere nell’elezione di Carlo Tavecchio alla Presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio uno specchio della situazione più generale del nostro paese. La constatazione è ovvia quanto generica. Qui proviamo a offrire una lettura di alcuni risvolti su cui ci si è meno soffermati in questi giorni.

Muoviamo dal documento fatto circolare nei giorni scorsi da Sky [vedi], in cui l’emitente metteva a fuoco l’insostenibilità di uno scenario del calcio italiano che continui a non intervenire sul declino strutturale che lo avviluppa da almeno 15 anni, a tutti i livelli: risultati sportivi, qualità del gioco, sviluppo dei vivai, adeguamento delle infrastrutture, accoglienza del pubblico, violenze degli ultras, formato dei tornei, e ovviamente i disastrosi bilanci economici, che hanno portato al fallimento di almeno 40 società professionistiche. Il documento di Sky, poi derubricato politicamente a “informativa aziendale”, va letto come un segnale ai naviganti: “è difficile immaginare che le istanze di cambiamento provengano dalle persone che alla crisi di sistema hanno contribuito”; Tavecchio “rappresenta vecchie logiche gestionali ed è quantomeno corresponsabile dell’attuale stato di crisi sistemica. Non è un uomo di sport, ma figlio di una gestione “politica” dello sport”. Testuale.

Perché Sky ha deciso di prendere posizione così apertamente? Perché, con una procedura che definire opaca è usare un eufemismo, alla fine di giugno, nei giorni in cui la Nazionale usciva sconfitta ai Mondiali, la Lega Serie A ha venduto all’asta i diritti TV per il triennio 2015-2018 aggiudicandoli - si noti - non al migliore offerente (Sky, che minacciava di “scendere in campo” anche sul digitale terrestre) ma tenendo conto degli interessi in gioco, cioè quelli di Mediaset [vedi]. Grande cerimoniere di un compromesso che ha distribuito il becchime un po’ a tutti, il presidente della Lega Maurizio Beretta, sotto l’egida di Adriano Galliani. Sky ha iniettato 572 milioni nel sistema. Ma non è detto che sia disponibile a farlo di nuovo nella stessa misura in futuro. Aleggia pertanto - e Sky lo ha fatto ben capire - una possibile riduzione del finanziamento che l’emittente di Rupert Murdoch ha finora garantito, soprattutto se la qualità dello spettacolo continuerà a essere così modesta e declinante anno dopo anno.

Potrebbe supplire Mediaset, ma al costo, probabilmente, di cedere grossa parte (se non la maggioranza delle azioni) di Premium a partner esterni a Fininvest, come ha cominciato a fare pochi giorni fa vendendone l’11% agli spagnoli di Telefonica. Il grande squalo in attesa è Al Jazeera, ma Silvio Berlusconi non ha intenzione di vendere i gioielli di famiglia: come nel caso del Milan, dove ha preferito dismettere i campioni piuttosto che smettere di esserne proprietario, anche per Mediaset non ha intenzione di cedere. L’acquisto dei diritti in esclusiva della Champions League per il triennio 2015-2018 sono stati, a un tempo, un salasso e una scommessa a molte incognite. Difficlle credere, comunque, che nel 2018 Mediaset sia in grado di iniettare nel calcio italiano i 572 milioni immessi da Sky nel futuro triennio.

Il futuro dei club è dunque assai incerto, perché essi si sono ormai ridotti a vivere della sola rendita dei diritti televisivi, che sono voracemente consumati per pascere le ricchezze private dei presidenti e dissipati per mancanza di una cultura imprenditoriale capace di produrre nuova ricchezza. Rare le eccezioni: più o meno quelle che, infatti, non hanno votato Tavecchio. L’elezione di quest’ultimo è stata una scelta politica molto chiara: tirare a campare, consuamere l’esistente, senza pensare al futuro. Come sta facendo la maggioranza degli italiani, quella che resiste abbarbicata alle proprie rendite di posizione, mettendo in atto tutte le interdizioni possibili alle misure intese a intaccarle per il bene comune. Si tratta di un fronte, trasversarle, che attraversa ogni campo sociale e ogni settore economico, e che vive sostanzialmente di “rendita”: non solo la famelica casta dei politici, che resiste pervicacemente ad ogni minima riduzione dei privilegi, ma anche le burocrazie parlamentari e ministeriali che si oppongo in ogni modo alla limitazione delle loro prebende, gli ordini professionali che resistono ad ogni liberalizzazione di accessi e tariffe, i lavoratori dell’Alitalia che rifiutano i termini dell’accordo con l’Ethiad, i professori universitari e i magistrati che si rifiutano di andare in pensione a 68 anziché a 70 anni, i dipendenti pubblici di comuni commissariati che vivono come una condanna alla povertà il taglio di 40 euro mensili di uno stipendio che rimane comunque più elevato di quello dei dipendenti dei comuni limitrofi … E potremmo continuare con infiniti esempi possibili. E’ questa l’Italia che sta affondando il paese, perché - in anni di crisi economica - vive di vecchie rendite, senza produrre ricchezza, e consuma le riserve di quella collettiva. E’ un’Italia miope perché pregiudica il futuro dei propri figli.

Le si contrappone una minoranza di italiani che, perlopiù esclusi dalle possibilità vivere di “rendita”, è costretta o ha scelto di vivere di idee e di produzione. Anche in questo caso si tratta di un fronte trasversarle che attraversa ogni campo sociale e ogni settore economico: dai centri di ricerca che continuano a fare innovazione (e dunque, potenzialmente, a produrre ricchezza), grazie anche all’impegno di molte giovani menti, agli imprenditori che, nonostante la crisi, continuano a investire in sviluppo e in prodotti che conservano ed espandono i loro mercati all’estero, agli operai che per conservare il posto accettano la riduzione di straordinari e bonus, alle banche e alle finanziarie che non lesinano il credito, a tutti coloro che sviluppano servizi di qualità nell’educazione, nella sanità, nei trasporti, nei servizi turistici, etc. E’ un’Italia che deve quotidianamente fronteggiare la protervia delle burocrazie e delle caste che vivono del potere di interdizione e di ricatto (cioè di corruzione). Ma è l’Italia che continua a produrre ricchezza e, soprattutto, a tenere viva la speranza di un futuro per il nostro paese. E’ l’Italia che vorrebbe riforme strutturali intese a favorire sviluppo, ricchezza, e lavoro, soprattutto per i più giovani.

Qualcosa che non si intravede in alcun modo nella trama di interessi, promesse e favori reciproci che hanno portato all’elezione di Tavecchio. L’esito è drammatico non tanto per l’impresentabilità del personaggio a livello internazionale quanto per l’assenza - anzi, la privazione - di futuro che esso annuncia.

Impuniti


3 agosto 2014

Sono trascorsi invano tre mesi dall’8 settembre del calcio italiano (Finale della Coppa Italia 2014) e le autorità hanno continuato a non “agire”.

Pare che il Ministro degli Interni stia per portare all’attenzione del Consiglio dei Ministri alcune misure. Ma siamo ancora agli annunci, alle parole. I fatti, da Cava dei Tirreni ad Auronzo di Cadore, alla faida tra “romanisti” e “napoletani” a colpi di accoltellamento in attesa del prossimo morto, dicono invece che la stagione degli ultras è ricominciata là dove era stata lasciata. Vale a dire impunita.

Le misure annunciate dal Ministro Alfano [vedi] sono preoccupanti per la loro pochezza: prolungamento del Daspo fino a otto anni, misure di prevenzione in caso di recidiva, potere di divieto di trasferta assegnato al ministro dell’Interno, etc. Acqua fresca.

E’ come curare un malato di cancro con l’aspirina. Se si nota bene sono tutte misure ex post, sul lato della pena annunciata (e poi raramente comminata) a reato (cioè a violenza) consumato, non c’è alcuna iniziativa preventiva.

Ricordiamo i termini - semplici e concreti, ispirati dal buon senso - della proposta avanzata della “Gazzetta dello sport”, che ci trova concordi e che sosteniamo appieno:
1) Scioglimento di ogni forma di tifo organizzato legato agli ultrà.
2) Divieto di ogni forma di striscione all’interno degli stadi. 
3) Galera. Intesa come certezza della pena.
A questi punti aggiungiamo:
4) Abbattimento di ogni barriera all’interno degli stadi.

Ci voleva molto? Sì, ci voleva molto, perché sarebbero state vere misure politiche, preventive e contenitive. Che avrebbero sollevato proteste, manifestazioni di piazza, interrogazioni parlamentari, campagne mediatiche, “canguri” e quant’altro. Qualcosa di pericolosissimo per questa pessima e inadeguata classe politica. Inadeguata perché non si assume la responsabilità di governare, cioè di decidere.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ammicca sul non poter dire nulla sulla penosa vicenda che porterà un impresentabile uomo di potere alla dirigenza della FIGC. Ma il Presidente del Consiglio dei Ministri dimostra di non volersi adoperare per estirpare dal calcio italiano il cancro degli ultras. Eppure c’era anche lui in tribuna, coi suoi figli, all’Olimpico il 3 maggio 2014. La differenza tra Tavecchio e Renzi, sul governo del calcio, davvero non riusciamo a coglierla.

Il selfie


Roma, 1° agosto 2014

"Da quello che si legge, visto il clima, penso sia molto difficile poter governare nei prossimi due anni. Siamo tutti in libertà provvisoria".

La presa di coscienza di Mario Macalli, 77 anni, presidente della Lega Pro, al termine del Consiglio federale della Figc.Che comincia a smarcarsi: ”Se fa bene Tavecchio ad andare avanti con la candidatura alla presidenza della Federcalcio? Dovreste chiederlo a lui, non a me. Sicuramente da questa situazione il calcio italiano non ci ha guadagnato. ll comunicato che ho firmato non era sull’appoggio a Tavecchio, ma contro il commissariamento” …