He’s back


21 agosto 2013, Stamford Bridge, Londra

Ci aveva lasciati a maggio scorso con un rosso rimediato nella finale di Copa del Rey e ieri è finalmente tornato se stesso: irascibile, rissoso e sfrontato. Una sagoma, come sempre. Il povero Paul Lambert aveva le sue ragioni per lamentarsi con la quaterna arbitrale di Chelsea - Aston Villa, anticipo della terza di Premier: Ivanovic avrebbe meritato un cartellino rosso per la gomitata in faccia a Benteke, invece è andato poi a segnare, oltretutto in fuorigioco; e, a un minuto dalla fine, John Terry ha schiacciato via una palla dall’area con la manona del pallavolista. Un disastro arbitrale, che da noi avrebbe infiammato la settimana del teatrino mediatico. A Londra invece il tutto si spegne in 24 ore al massimo. 

Ma JM non lascia passare nulla: cazziatone immediato a Lambert nell’area degli allenatori (“the Happy One turns into Incredible Sulk during his touchline row with Lambert”, titola oggi il “Daily Mail”). E dichiarazioni paternalistiche nel dopo gara: “Until the 95th minute with the result unpredictable when nobody knows what is going to happen, Paul has a certain type of personality and behaviour on the bench that pushes for that. He reminds me of myself 10 years ago when I was complaining about every decision, when I want to coach my team and at the same time I want to have a whistle on my lip. He is the same. He will change. With time and experience he will change because he complains about every, every, every decision. But he is a young manager, very intelligent. He plays very well, adapted to the quality of his players. I wish him good. I like him and no problem. Just little discussions”. Impunito direbbero a Roma …

Fonte (con altre espressioni idiomatiche): "Daily Mail"

Il calcio è un dono di Dio


"Vi chiedo di vivere lo sport come un dono di Dio, una opportunità per far fruttificare i vostri talenti, ma anche come una responsabilità".

Papa Francesco

Città del Vaticano, 13 agosto 2013. Vigilia di Italia-Argentina

Il pensiero sociale di Cesare



Estate 2013

C’è «troppa disparità tra ricchezza e povertà: in un mondo civile è inaccettabile. La Confederations Cup mi ha lasciato l’impressione forte dei contrasti tra gli stadi nuovi e la miseria attorno. E poi la folla alle manifestazioni. Quando in strada vanno tanti giovani, devi ascoltare. La priorità non è il calcio: sono le scuole, l’assistenza ospedaliera, il lavoro». 

«Io credo che il mondiale brasiliano possa coesistere con una migliore politica sociale. Di sicuro è impossibile giocare bene in uno stadio costato 800 milioni che sta a 100 metri da una favela di 120 mila persone di cui il 20% senza cibo. Ma non pensiamo solo al Sudamerica. I contrasti si stanno ampliando anche in Europa. Di questo passo anche noi vivremo blindati e avremo le nostre favelas». 

Quando Balotelli a Salvador «mi ha chiesto di poter uscire perché una missionaria della favela era venuto a trovarlo, aveva una gioia negli occhi che gli ho detto di sì, anche se eravamo blindati in albergo. Mario ha la generosità e la sensibilità giuste».

I 120 milioni per Bale? «Perché non destinare per legge parte di somme del genere in spese sociali? Perché non porre dei tetti? I calciatori sono gli ultimi a poter fare qualcosa e i primi a spendersi in solidarietà. Devono muoversi presidenti e istituzioni. Il calcio fa troppo poco per andare verso la gente e contro le ingiustizie sociali. Un calcio più povero potrebbe guadagnarci».


In lode di un grande italiano (Eupallog)

Il giocatore ultrà


4 agosto 2013

Si chiama Gaetano Iannini, ha già trent’anni, gioca semi-professionalmente da tredici, e ha cambiato squadra ogni anno. E forse si comincia a capire perché. E’ assurto in cronaca il 4 agosto 2013 perché durante una partita di Coppa Italia tra Sudtirol e Matera è stato espulso dall’arbitro al 18° del primo tempo per aver rivolto i soliti insulti razzisti a un giocatore avversario, Caleb Ekuban. Come vien da dire - in omaggio alle circonlocuzioni giuridiche -, “ai sensi” del nuovo articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva, in vigore dallo scorso 4 giugno, si è beccato 10 turni di squalifica dal giudice sportivo Gianpaolo Tosel per aver rivolto un “epiteto insultante espressivo di discriminazione razziale a un avversario ghanese” [vedi].

E fin qui siamo alle solite. Più che il razzismo è in gioco l’assenza di educazione in cui è ormai precipitata una larga parte della popolazione (non solo italiana, si intende). L’arbitro è stato impeccabile, il giudice rapido e solerte. Tutto molto bene: nell’auspicio che la reazione sia altrettanto netta e rapida in futuro, e soprattutto costante nel tempo. Di personaggi come Gaetano Iannini, infatti, il calcio (non solo quello italiano) non ha alcun bisogno. Anzi.

Lo dice il suo pedigree. Lo scorso anno, quando vestiva la casacca del Casale, Iannini ha subìto un Daspo (acronimo per Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) di quattro anni perché durante una partita contro la Virtus Entella, minacciò il direttore di gara e aggredì due agenti di polizia entrati in campo per difendere gli arbitri. In breve, è un ultrà che non può frequentare gli stadi ma - per paradosso giuridico - vi può giocare. Resta una testa calda, come ce ne sono migliaia non solo nel mondo del pallone, ma anche nel traffico, nelle notti alcoliche, etc.

La contiguità ultras-giocatori la testimoniano non solo foto che parlano da sole come questa, ma anche le dichiarazioni di falso perbenismo e di sostanziale complicità in cui si prodigano i dirigenti delle società. Così, per esempio, il presidente del Matera, Saverio Columella: “Se il nostro giocatore ha sbagliato, è giusto che paghi. Ma, al di là di questo, mi sembra che la sanzione abbia anche connotazioni mediatiche. Noi condanniamo completamente il comportamento del nostro atleta: l’insulto razzista è imperdonabile, abbiamo già provveduto a multare il giocatore per l’espulsione rimediata nella partita. Ogni caso, però, va valutato in maniera specifica, il regolamento prevede che la squalifica di 10 giornate sia la sanzione massima. Se c’è un limite massimo di 10, non credo si debba partire per forza con il top. E’ la prima sanzione di questo tipo e, pertanto, deve essere esemplare. Mi sembra di rivedere le situazioni che si sono verificate quando entrò in vigore l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza in auto …”.

Fin che non si spezzeranno queste contiguità culturali tutto sarà inutile.