Ultra globale


Parigi-Mondo, 13 maggio 2013

Commentando i vergognosi cori razzisti degli ultras della Roma allo stadio di San Siro contro Mario Balotelli e Kevin Boateng - che hanno portato alla sospensione, sia pure simbolica, di Milan-Roma del 12 maggio 2013 [leggi] -, Arrigo Sacchi ha usato in televisione le stesse parole che aveva già adoperato il 2 settembre 2011 in un’intervista al Corriere della Sera: “I nostri stadi sono carceri a cielo aperto, sono la fotografia dell'Italia e del suo calcio. Oggi gli incivili si trovano bene allo stadio” [leggi]. Parole semplici e fondate: il calo costante, da anni, di presenze negli stadi del nostro paese si spiega anche, se non soprattutto, per questi motivi (meno pregnante è invece l’argomento della loro “scomodità”, perché gli stessi impianti erano invece pienissimi negli anni 1980s e 1990s). Basti pensare all’episodio più recente, prima degli ululati di San Siro: la guerra dei razzi tra gli ultras atalantini e juventini che ha determinato la sospensione di Atalanta-Juventus allo Stadio Atleti Azzurri d’Italia l’8 maggio 2013 [vedi].

Il problema sono i delinquenti che hanno trovato nell’identità della militanza calcistica una nuova dimensione. Sulla materia esiste ormai una ridondante letteratura. A noi basti qui ricordare l’analisi antropologica che ne diede Desmond Morris agli albori del fenomeno, quando descrisse le “tribù” del calcio [leggi], perché mise a nudo l’inestricabile nesso tra calcio e violenza. Forse alcuni se le sono dimenticate, ma le immagini degli ultras dello Zenit San Pietroburgo che festeggiarono il 28 aprile 2012 lo scudetto russo distruggendo lo Stadio Petrovskij [vedi], dicono tutto, senza la necessità di ulteriori commenti.

Senza tornare sulle stragi egiziane [vedi 01-02], sulle violenze ormai endemiche del futbol argentino, avvitato in una spirale senza fine [vedi], sui pestaggi della polizia brasiliana [vedi], non si può dimenticare come il 3 dicembre 2012, su un campo giovanile, ad Almere, vicino ad Amsterdam, tre giocatori di 15-16 anni abbiano ucciso a calci un guardalinee [vedi], o come il 21 febbraio scorso durante la partita di Copa Libertadores tra San José e Corinthians allo stadio Jesús Bermúdez di Oruro in Bolívia, sia stato ucciso un ragazzo di 14 anni, colpito all’occhio destro da un bengala lanciato dagli ultras brasiliani [vedi]. Di questi giorni è la notizia che la polizia italiana ha identificato e arrestato alcuni dei responsabili che il 1° dicembre 2012 parteciparono al pestaggio di un malcapitato (in senso etimologico) tifoso (non un ultra) della Juventus, riducendolo in fin di vita [vedi]. Abbiamo anche visto riaffacciarsi l’hooliganismo a Wembley il 13 aprile 2013 [vedi]), e la stessa Bundesliga - agli allori mediatici di queste settimane - convive con la violenza strisciante [vedi 01-02].

A Parigi, la nuova proprietà quatariota del PSG ha adottato la linea inglese (post thatcheriana [vedi]) di tagliare i ponti con gli ultras, abolendo tutte le rendite di posizione che si erano incrostate per anni, ed alzando i prezzi dei biglietti di accesso allo stadio. Il risultato è stato l’allontanamento delle frange delinquenziali dal Parc de Princes, ma certo non la loro scomparsa. La guerriglia di lunedì 13 maggio 2013 - di cui erano state fatte le prove generali il 5 novembre 2012 la sera prima della partita di Champions League tra PSG e Dinamo Zagabria [vedi] - che ha messo a ferro e fuoco una vasta area della Parigi commerciale e touristica - con oltre 30 feriti e 20 arresti (la foto ne descrive bene il clima) - è la conferma che il fenomeno non ha frontiere. Soprattutto, che tende a fondersi con le trasformazioni sociali che la crisi economica e politica dell’Occidente globalizzato sta ridefinendo in termini nuovi [si legga la ricca analisi di “So Foot”].

Siamo ormai all’ultra globale dell’Ultracalcio [vedi]. E’ bene prenderne coscienza, perché la pratica agonistica non potrà non risentirne a lungo andare.