Football Against the Enemy: Egitto 2012-2013 (again)


9 marzo 2013, Il Cairo

La palazzina è decorosa e il giardino curato, e non restituiscono il tipico senso di disordine e degrado urbanistico della capitale egiziana, ma la scena è ancora una volta violenta. Il pallone a scacchi sul tettuccio - che ricorda tristemente la testa della mascotte di Italia ‘90 - identifica il luogo come calcistico: è infatti la sede della Federazione calcistica dell’Egitto.

Data alle fiamme dagli ultras dell’Al-Ahly Sporting Club perché, ai loro occhi, la sentenza, emanata oggi dalla Corte di appello contro i poliziotti e i responsabili delle forze dell’ordine presenti allo stadio di Port Said durante il massacro del 1° febbraio 2012 in cui morirono 74 persone, perlopiù tifosi dell’Al-Ahly [rammenta], è apparsa troppo lieve. Il tribunale ha assolto 28 imputati, tra cui vari ufficiali di polizia, mentre “solo” 24 individui, tra cui l’ex responsabile della sicurezza di Port Said, il generale Essam Samak, sono stati invece condannati a 15 anni di carcere [leggi].

Troppo poco, evidentemente, per gli ultras cairoti assetati di vendetta. Si noti come la stessa corte abbia confermato la condanna a morte per i 21 ultras dell’Al-Masry già giudicati lo scorso 26 gennaio [rammenta]. Da allora i loro compagni hanno inscenato una quotidiana guerriglia a Port Said [leggi]. Secondo alcune voci, oggi al Cairo sarebbero morte altre 3 persone nelle violenze che hanno avuto come oggetto anche il circolo della polizia e le strade della capitale [leggi].

Di calcio, dunque, si continua a morire. Nell’indifferenza degli “addetti ai lavori”.