Addio ai Monti


Italia, 29 maggio 2012

"Fermare il calcio per due o tre anni: è un desiderio che a volte sento dentro di me".

Il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, Onorevole Senatore Mario Monti, ha esternato con sincerità [vedi] una verità scomoda con la quale il calcio fa i conti da quando è diventato uno sport in età vittoriana. Non piace ai professori e agli pseudo intellettuali che lo ritengono un'incomprensibile manifestazione di pane e circo (in mutande, per giunta) e ne detestano snobisticamente (sine nobilitate, vale a dire) la passione che avvince invece le masse.

Il prof. Monti non è un pericoloso comunista, per fortuna, e gli siamo grati per l'impegno che sta mettendo per salvare la patria, anche se un tackle come quello di ieri mostra evidenti segni di logoramento agonistico. È vero semmai come il fenomeno sia particolarmente diffuso tra la società "civile" della sedicente sinistra, quella dalla vocazione pedagogica in servizio permanente effettivo, quella che ogni mattina si alza per insegnare al mondo come dovrebbe comportarsi, quella - in una parola - tremendamente conservatrice e luogo comunista. Con tutte le penose contraddizioni che ciò si porta dietro nell'attuale società dei consumi.

Facciamo solo l'esempio italico del quotidiano "La Repubblica". Il suo fondatore, che non a caso si è poi dedicato in età senile ai dialoghi filosofici con Platone sui massimi sistemi, decise inizialmente di non pubblicare l'edizione del lunedì, perché a suo dire il paese in cui gli era capitato di nascere (e che purtroppo non era uno di quei bei paesi seri del nord Europa, sia detto en passant, quelli che hanno reinventato il football ...) immolava la domenica a un rito plebeo come quello della pedata, fenomeno disdicevole e di dubbio rilievo agli occhi di un'opinione pubblica che si voleva laica e riformista. Quando molti lettori normali gli manifestarono che era semplicemente "una cazzata" (per dirla col termine in voga a sinistra negli anni settanta) e quando gli analisti di mercato gli mostrarono il tafazzismo finanziario in cui si era cacciato da solo, tornò sui suoi passi, colorando tartufescamente la contraddizione come scelta culturale: il giornale avrebbe parlato di calcio, sì, ma solo aulicamente. Dovemmo così assistere a una penosa polemica tra il ragazzo allora di bottega Oliviero Beha e il nostro Gioanbrerafucarlo, ingaggiato abilmente per nobilitare in senso letterario le cronache sportive, che se lo mangiò in quattro e quattr'otto da par suo, e scrisse pagine epiche sul mondiale del 1982 (popolate di eroi come Dinosauro e il Feroce Saladino e di dannati come l'Orrendo Passarella).

I Senzabrera, precoci orfani come noi tutti del Maestro, si trovarono però inaspettatamente di fronte, di lì a poco, alla discesa in campo, dapprima milanista e poi italica, del Cavaliere. E fu ossessione ventennale. Improvvisamente il calcio, da colto esercizio di narrazione, tornò a essere una passione disdicevole, anzi sempre più schifosa. Ci fu chi si diede alla gastronomia - che rappresenta purtroppo l'approdo della deriva intellettuale della gauche caviar (a guardar bene un peccato di gola non dissimile dalla moralisticamente deprecata lussuria del Caimano, anche se ammantato di Terre madri) - e chi si diede un'allure comica, di malcelata passione per il calcio come dovrebbe essere e di ostentato disprezzo per il calcio come invece è.

Questa è, purtroppo, una parte del nostro paese, quella costretta perennemente a inseguire la realtà e i suoi mutamenti. A noi gente di sinistra storica basta l'esempio di compagni come Pasolini e Ken Loach, di vecchi socialisti come Brera, Ghirelli e Pertini, di gente che sa e ha saputo vivere dalla parte giusta. Intellettuale ed eupallica.

E cartellino rosso anche al professor Monti, ovviamente. E ai professori come lui.

L'ultima del Barcellona del Pep


Estadio Vicente Calderón, Madrid, 25 maggio 2012

Con la conquista della Copa del Rey si chiude la memorabile epopea del Barcellona guidato da Josep Guardiola. 14 titoli su 19 trofei disputati in quattro anni: agli avversari solo le briciole.

Lacrime

13 maggio 2012, Stadio Giuseppe Meazza, Milano
Filippo Inzaghi piange dopo aver segnato l'ultimo (forse ...) gol della sua carriera: la 288a rete.
12 maggio 2012, Centro sportivo Milanello
Mark van Bommel, in lacrime, annuncia l'addio al Milan: "La vita è così, ad un certo punto bisogna andare via. Quando sono arrivato qui, tutti mi hanno detto che questa società è come una famiglia: è vero, è così'', dice piangendo.

12 maggio 2012, Şükrü Saracoğlu Stadı, Istanbul
Un ultra del Fenerbahçe piange disteso sul terreno dello stadio in seguito alle cariche e ai lacrimogeni della polizia, costretta a intervenire per le immancabili violenze dopo il pareggio nel derby con il Galatasaray, che ha consegnato a quest'ultimo il titolo del campionato turco.

Lucciconi a San Siro


Stadio Giuseppe Meazza, Milano, 13 maggio 2012

I campioni del mondo Alessandro Nesta, Gennaro Gattuso, Gianluca Zambrotta, Filippo Inzaghi, visibilmente commossi, festeggiano il gol del cannoniere piacentino (il 126° in maglia rossonera) contro il Novara, nell'ultima di campionato 2011/2012. Si ammainano quattro bandiere di un grande Milan, due volte sul tetto d'Europa fra gli anni 2003 e 2007.

Linguaggi


Stadio De Vijverberg, Doetinchem, 13 maggio 2012

E' il tempo delle emozioni e delle lacrime. A Doetinchem si è consumata domenica scorsa la piccola "tragedia" della retrocessione dalla Eredivisie olandese del modesto De Graafschap nel Jupiler League Play Off Tournament (più prosaicamente gli spareggi per non retrocedere) per piede dell'altrettanto modesto FC Den Bosch [tabellino]. Alla fine della gara solite scene di tristezza e disperazione. Un linguaggio che la piccola Saar, figlia del capitano del De Graafschap Rogier Meijer, ha faticato a comprendere e si è data da fare inutilmente per interrompere [vedi]. Una carezza di Eupalla le avrà sfiorato i bei boccoli biondi.

L'ultima del Pep a Camp Nou


Barcelona, 5 maggio 2012

Barcelona FC - RCD Espanyol, calcio d'inizio.

Botte da orbi


Firenze-Pescara, 2 maggio 2012

Purtroppo ci tocca mettere in archivio una scena che non avevamo mai visto in quarantacinque anni di onorata carriera voyeuristica. Nei cazzotti di Delio Rossi ad Adem Ljajic sta tutta la morte del calcio italiano di questi anni. E' un calcio orbo di sé e dei suoi fasti passati, precipitato in un tunnel nero di cui non si intravede la fine. La violenza, la maleducazione, l'ignoranza, la protervia e la sopraffazione come stile di vita senza freni e inibizioni - e senza alcuna forma di contrasto (morale, disciplinare, repressiva) - sono ormai il liquido di quotidiana coltura di un ambiente probabilmente irrecuperabile, destinato a un avvitamento senza fine su se stesso.

Certo, notizie di fatti analoghi ci giungono ogni giorno da altri paesi, spesso ritenuti (a torto) più "seri" del nostro. Di questa settimana sono: l'arresto di Jermaine Pennant dello Stoke City per violenza sessuale e incidente automobilistico in stato di ubriachezza; la condanna a cinque anni di due ultras scozzesi per aver inviato pacchi bomba al presidente e ad alcuni tifosi VIP del Celtic; la radiazione a vita di Craig Whyte, proprietario dei Rangers, per aver condotto il club sull'orlo della bancarotta; la tribale demolizione del campo dello Zenit da parte dei suoi "tifosi" per festeggiare lo scudetto russo; la federcalcio della Turchia che blocca le retrocessioni per evitare che finiscano in B Fenerbahçe, Besiktas e Trabznonspor, travolte con altre cinque squadre dal calcio scommesse locale; il lancio di banane, arance e bottiglie sulla testa di Neymar a La Paz nell'ottavo di andata di Bolivar-Santos per la Copa Libertadores; 68 arresti a San Juan in Argentina dopo che i barra bravas locali avevano assaltato il pullman del Godoy Cruz; la retrocessione dell'Al Masry nella serie B egiziana, perché ritenuta responsabile della carneficina che provocò 74 morti a Port Said lo scorso febbraio (fonte: "Extra Time", davvero extra, della "Gazzetta dello sport" del 1° maggio 2012).

Qui a fianco la foto (diffusa dalla Polizia di Stato) dei gemelli ultras dei Rangers della curva nord del Pescara, Antonio e Domenico Rigante (a distinguerli era solo un piercing sul labbro di Antonio), entrambi colpiti da Daspo per gli scontri con i rivali del Lecce. Il secondo è stato ucciso in casa propria a revolverate da una banda di nomadi della periferia di Pescara, che in realtà intendeva colpire Antonio, reo di aver malamente apostrofato in pieno centro, sotto la casa di Gabriele D'Annunzio in corso Manthonè, il capo dei rom. E fin qui siamo all'ordinaria delinquenza. La tristezza viene dall'apprendere che ieri all'obitorio si sono presentati in lacrime alcuni giocatori del Pescara Calcio guidati da Ciro Immobile.